ROY LICHTENSTEIN




  
ROY LICHTENSTEIN È UN ARTISTA LA CUI IMMAGINE SI LEGA INDISSOLUBILMENTE AI FUMETTI. TRA GLI ARTISTI DELLA POP ART È QUELLO CHE PIÙ RIESCE A CREARE UNA CIFRA STILISTICA INCONFONDIBILE, RESTANDOVI FEDELE FINO ALL’ULTIMA PRODUZIONE.
NEL 1962, CON UNA PERSONALE TENUTASI A NEW YORK PRESSO IL FAMOSO GALLERISTA LEO CASTELLI, INIZIA L’ASCESA DI LICHTENSTEIN. SIAMO NEGLI ANNI IN CUI IL FENOMENO DEL CONSUMISMO E DELLA CULTURA POP ESPLODE A LIVELLO MONDIALE. ROY LICHTENSTEIN APRIVA LA STRADA A UNA NUOVA CONSIDERAZIONE DEL FUMETTO DA PARTE DELLA CULTURA E, IN PARTICOLARE, DEL MONDO DELL’ARTE. CON L’ARTISTA NEWYORKESE IL LINGUAGGIO FUMETTISTICO, CON LE SUE FIGURE E PAROLE STEREOTIPATE VIENE AD ASSUMERE UN RUOLO PRIVILEGIATO. NEGLI STESSI ANNI ANDY WARHOL REALIZZAVA QUADRI CON IMMAGINI DI COMICS E, SUCCESSIVAMENTE, MOLTI ARTISTI HANNO UTILIZZATO NELLE LORO OPERE ELEMENTI TRATTI DA QUESTO UNIVERSO ICONICO COME KEITH HERING O PAUL MC CARTHY.
LE IMMAGINI DI FUMETTI INGRANDITI PROPOSTE DA LICHTENSTEIN SEMBRANO RISPECCHIARE IN PIENO L’ESIGENZA DI CIRCONDARSI DI IMMAGINI NUOVE, OGGETTIVE E PRIVE DI ANGOSCE ESISTENZIALI.
SONO FUMETTI, È VERO, MA REALIZZATI CON LA VISIONE PROPRIA DELL’ARTISTA. EGLI, SEMPRE REALIZZANDO IMMAGINI COME FOSSERO FUMETTI, RIVISITA TUTTI GLI ARTISTI PRINCIPALI E GLI STILI SORTI NEL CORSO DEL NOVECENTO, DAL CUBISMO AL FUTURISMO, DALL’ESPRESSIONISMO ALL’ACTION PAINTING. LA CONTAMINAZIONE TRA PITTURA E FUMETTI CREA UN DIALOGO ORIGINALE CHE, NEGLI ULTIMI ANNI, COINVOLGE ANCHE LA SCULTURA.
LA SUA ARTE, PRODOTTA FINO ALLA METÀ DEGLI ANNI NOVANTA, RIMANE COME UNA DELLE ESPRESSIONI PIÙ ORIGINALI DELLA CULTURA AMERICANA DEL SECONDO DOPOGUE
DA UN’INTERVISTA A ROY LICHTENSTEIN (ART DOSSIER N. 36, GIUGNO 1989, PAG. 21) HO ESTRAPOLATO QUESTI PASSAGGI:
«SONO ANTI-CONTEMPLATIVO, ANTI-SFUMATURA, ANTI-LIBERIAMOCI DELLA TIRANNIA DEL RETTANGOLO, ANTI-MOVIMENTO E LUCE, ANTI-MISTERO, ANTI-QUALITÀ PITTORICA, ANTI-ZEN, ED ANTI TUTTE QUELLE BRILLANTI IDEE DEI PRECEDENTI MOVIMENTI CHE TUTTI CONOSCIAMO BENISSIMO».
CONTINUA L’ARTISTA: «PENSO CHE IL MIO LAVORO SIA DIVERSO DAI FUMETTI – MA NON ADOPEREREI LA PAROLA TRASFORMAZIONE; NON CREDO CHE IL VALORE DI QUESTA PAROLA ABBIA SIGNIFICATO PER L’ARTE. IO DO UNA FORMA LADDOVE IL FUMETTO NON HA UNA FORMA NEL SENSO IN CUI ADOPERO LA PAROLA; I FUMETTI HANNO UNA FORMA MA NON TENTANO DI RAGGIUNGERE UN’UNITÀ. LO SCOPO È DIVERSO, LI SI VUOLE RAPPRESENTARE E IO INTENDO UNIFICARE. E REALMENTE IL MIO QUADRO È DIFFERENTE DAL FUMETTO PERCHÉ IN ESSO OGNI SEGNO HA UN POSTO DIVERSO, PER QUANTO PICCOLA POSSA SEMBRARE TALVOLTA LA DIFFERENZA, CHE SPESSO, SE NON RILEVANTE, È PERÒ DECISIVA. ALCUNE PERSONE GIUDICANO ANCHE LA MIA OPERA ANTI-ARTE, ALLO STESSO MODO CHE CREDONO SIA PURA RIPRODUZIONE NON TRASFORMATA. NON MI SEMBRA CHE SIA ANTI-ARTE. GLI EROI DEI FUMETTI SONO DEI TIPI FASCISTI, MA NEI QUADRI IO LI IRONIZZO – FORSE C’È UNA RAGIONE PER QUESTA IRONIA, UNA RAGIONE POLITICA. ME NE SERVO PER RAGIONI PURAMENTE FORMALI, E QUESTO INVECE NON È LO SCOPO PER CUI SONO STATI INVENTATI. LA POP ART HA SIGNIFICATI IMMEDIATI ED ATTUALI CHE SVANIRANNO – QUEL TIPO DI SIGNIFICATO CHE È EFFIMERO – E SI AVVANTAGGIA DI QUESTO “SIGNIFICATO” CHE SI SUPPONE NON DURERÀ, PER DISTOGLIERE L’ATTENZIONE DAL SUO CONTESTO FORMALE. IO DIPINGO DIRETTAMENTE DAL MODELLO, ALLORA SI DICE CHE IL MIO QUADRO È UNA COPIA ESATTA E NON ARTE, PROBABILMENTE PERCHÉ NON C’È PROSPETTIVA NÉ CHIAROSCURO. NON SEMBRA LA PITTURA DI QUALCHE COSA, SEMBRA LA COSA STESSA».
SULLA POP ART ROY LICHTENSTEIN AFFERMA: «PER ME È UN MODO D’INTENSIFICARE STILISTICAMENTE L’EMOZIONE POSSEDUTA DAL CONTENUTO, MA LO STILE RIMANE FREDDO. UNA CARATTERISTICA DEL FUMETTO È QUELLA DI ESPRIMERE UNA PASSIONE ED UN’EMOZIONE VIOLENTA DI UNO STILE COMPLETAMENTE MECCANICO E DISTACCATO. ESPRIMERLA CON UNO STILE PITTORICO VORREBBE DIRE DILUIRLA».
LA TECNICA DI CUI L’ARTISTA NEWYORKESE SI SERVE NON È COMMERCIALE, LO È SOLO APPARENTEMENTE. IL MODO, IL SUO MODO DI VEDERE È DIVERSO. IL SUO MODO DI COMPORRE E UNIFICARE È DIVERSO E TUTTO NELLA SUA ARTE HA UN FINE DIVERSO. QUEL FINE CHE HA FATTO ESCLAMARE AD ANDY WARHOL: «OH, PERCHÉ NON È VENUTO IN MENTE A ME?».

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     JAMES ROSENQUIST




ROSENQUIST, JAMES. - PITTORE, NATO A GRAND FORKS (NORTH DAKOTA) IL 29 NOVEMBRE 1933. STUDIA ALL’UNIVERSITÀ DI MINNESOTA (1952-54) E ALL’ART STUDENTS LEAGUE DI NEW YORK (1955-56) E, COME PER MOLTI ARTISTI POP, LA SUA FORMAZIONE PITTORICA AVVIENE ATTRAVERSO UNA PRIMA ATTIVITÀ NEL CAMPO PUBBLICITARIO. NEL 1962 ESPONE PER LA PRIMA VOLTA ALLA GALLERIA D’AVANGUARDIA GREEN GALLERY, A NEW YORK, DOVE RITORNA ANCORA NEL 1964; È IN QUESTO PERIODO CHE LA SUA VICENDA SI LEGA A QUELLA DELLA POP ART NORD AMERICANA. NEL 1964 UNA SERIE DI PERSONALI LO FANNO CONOSCERE IN EUROPA: ALLA GALLERIA SONNABEND A PARIGI, ALLA GALLERIA SPERONE A TORINO. NEL 1965 UNA MOSTRA ITINERANTE È OSPITATA NEI MUSEI DI STOCCOLMA, AMSTERDAM, BADEN BADEN, BERNA. TRA LE ALTRE MOSTRE RICORDEREMO QUELLE ALLA GALLERIA D’ARTE MODERNA DI ROMA (1966), AL MUSÉE DES ARTS DÉCORATIFS DI PARIGI (1967), AL WHITNEY MUSEUM DI NEW YORK E ALLA KUNSTHALLE DI COLONIA (1972).
I SUOI QUADRI A PARTIRE DAL 1961 PRESENTANO OGGETTI “COMMERCIALIZZATI”, RIPETUTI SERIALMENTE COME PER RIPRENDERE IL RITMO OSSESSIVO DEL LINGUAGGIO PUBBLICITARIO. ANCHE NELLA SUA OPERA TROVIAMO PERCIÒ L’IMMAGINE DEI “DIVI” (SERIE DI MARILYN MONROE) O DEI MITI DEL CONSUMISMO (LA MACCHINA, CHE DIVERRÀ UNO DEI SUOI TEMI PRINCIPALI). IN UN MOMENTO SUCCESSIVO, L’OGGETTO VIENE PROPOSTO A SCALA GIGANTESCA: L’USO DELLA SOVRAPPOSIZIONE E DEL MONTAGGIO DELLE IMMAGINI, LA LORO INQUIETANTE APPARIZIONE FUORI FUOCO SULLA TELA OFFRONO L’EQUIVALENTE DI UN LINGUAGGIO CINEMATOGRAFICO, A CUI R. FA COSTANTEMENTE ALLUSIONE. A PARTIRE DAL 1965 COMPARE, ASSIEME ALL’OGGETTO, L’AMBIENTE ALTRETTANTO MASSIFICATO DEGLI ALTRI PRODOTTI CONSUMISTICI (COME NELLA SERIE DEI “PAESAGGI”). NELLE OPERE PIÙ RECENTI, I LIMITI DEL QUADRO VENGONO SEMPRE PIÙ APERTAMENTE SUPERATI ATTRAVERSO LE VASTE COMPOSIZIONI: NEL QUADRO S’INSERISCONO DIAFRAMMI DI PLASTICA TRASPARENTE O DI ALLUMINIO, CHE DETERMINANO DEGLI SPAZI ENTRO CUI L’IMMAGINE VIENE CARICATA DI UNA VIOLENTA AGGRESSIVITÀ (COSÌ NELLE “MACCHINE BELLICHE”: F. III, 1965, O FLAMENGO CAPSULE, 1970). NELLE ULTIME OPERE, R. APPARE PARTICOLARMENTE ATTENTO ALLE POSSIBILITÀ D’INSERIMENTO DI UN LINGUAGGIO CINEMATOGRAFICO NELLA PITTURA, FACENDO SEMPRE PIÙ USO DELLA MACCHINA DA PRESA, E DELL’IMMAGINE PROIETTATA SULLA TELA. ANCHE PER LUI UN’INTENSA ATTIVITÀ CINEMATOGRAFICA TENDE A SOSTITUIRE QUELLA PITTORICA.

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